Che cos'è la Metagenealogia? Si parla di Metagenealogia o di Psicogenealogia, qual è la differenza?
Perché fare il proprio albero genealogico appassiona tutti sempre più?
Quando si è interessati alla psicogenealogia, a chi possiamo rivolgerci?
Come dice la canzone: -non si sceglie la propria famiglia, non si scelgono i propri genitori- . Come fare nel caso in cui l'eredità familiare sia molto pesante da portare?
La psicogenealogia è lo studio dell'albero genealogico e di come il passato familiare influenza l'individuo. Questo termine è stato inventato da Alejandro Jodorowsky all'inizio degli anni 80, ed è stato ripreso da numerose scuole interessate soprattutto all'aspetto "eredità" (positiva o negativa) dell'albero. Con il termine "Metagenealogia" non si intende solo lo studio del passato familiare, ma anche il nostro lavoro verso "la chiamata del futuro", cioè l'insieme degli obiettivi, delle intenzioni e dei talenti da sviluppare che sono sia il nostro futuro come persona unica che ciò che il nostro albero genealogico ci impedisce di realizzare. Ad esempio: in un albero dove non c'è mai stato un aritsta, può esserci tale credenza: "è impossibile vivere con la propria creatività: ogni artista è destinato a morire di fame". Se un membro della famiglia ha un talento, una vocazione particolare (ad esempio suonare il violino), è evidente che questa credenza familiare peserà su questa persona. Si può tuttavia anche immaginare che l'albero "ha bisogno" di un violinista, cioè del talento, dell'obbiettivo, della vocazione di questa persona, per rigenerare. Questa dinamica, a volte questo conflitto, che viviamo nella nostra pulsione a realizzarci, e le tendenze ripetitive delle eredità familiari, sono al centro della Metagenealogia.
Su quali fondamenta si basa questa scienza?
Non si tratta di una scienza. La pscibiologia fa parte delle scienze umane, e c'è una parte di psicobiologia nel lavoro sull'albero. Ma il nostro approccio è sia arte che creatività: nel libro Metagenealogia, la famiglia, un tesoro e una piaga, proponiamo un grande numero di esercizi e di pratiche artistiche o immaginative per sviluppare il nostro potenziale. Inoltre, la questione della dinamica tra passato e futuro ci porta alla sola realtà che possiamo conoscere: vivere nel presente. In questo senso il nostro lavoro si avvale sia delle tradizioni spirituali, come la meditazione, che dello studio delle strutture familiari indicate dai grandi miti religiosi orientali e occidentali. Si tratta di una disciplina a metà strada tra la terapia, arte e spiritualità.
Perché fare il proprio albero genealogico appassiona tutti sempre più?
Ognuno di noi ha la sensazione, confusa, che egli "proviene da qualche parte". La "domanda" delle radici è essenziale in un momento in cui l'umanità arriva ad un livello di sovrappopolazione senza precedenti, e si impegna in uno sfruttamento irrazionale del pianeta, appena sufficiente a soddisfare la nostra frenesia consumistica. Ci si orienta (in modo ancora confuso) verso un cambiamento che sarà anche una sfida per il concetto tradizionale di famiglia, cioè a procreare non oltre un certo limite, al fine di popolare la Terra. Non c'è più tale necessità! Siamo già in troppi. Come possono le famiglie generare la consapevolezza invece di generare decine di bambini? Davanti a domande così nuove, così angoscianti, ci sentiamo perduti, come in un bosco. Il primo passo consiste nel riconoscere il nostro albero: in esso troviamo un di partenza per orientarci.
Quando si è interessati alla psicogenealogia, a chi possiamo rivolgerci?
Non saprei proprio dirglielo in quanto sono sono psicogenealogista! Numerosi terapeuti hanno, oggi, un approccio trans-generazionale, e alcuni di loro fanno un ottimo lavoro. Ma lo studio dell'albero dovrebbe essere solo un accelleratore, un elemento aggiunto al processo terapeutico. Idealmente, studiare il proprio albero (si tratta di due o tre ore), permette di risparmiare qualche mese o qualche anno di terapia.
Alejandro Jodorowsky, ed io stessa, abbiamo scritto questo libro per chiunque sia interessato a trarre informazioni dal proprio albero eda proseguire le sue ricerche senza necessariamente essere dipendente da uno "psicogenealogista. Nello stesso modo in cui ci si può interessare alla filosofia senza essere dipendenti da un filosofo, alla spiritualità senza essere dipendenti da un guru... Spetta a ogni individuo di decidere fino a che punto ha bisogno di essere guidato.
Come possiamo conoscerci meglio conoscendo la nostra famiglia?
La famiglia (vivente e non vivente) ci "scolpisce" e ci impone una serie di ordini e di interdizioni, che si ripetono e si trasmettono da generazione in generazione. "Fai questo, non fare quello" "Dire cose è pericoloso""il Bene è questo, il Male è quello", ecc. Una parte di questa eredità è cosciente, ma la maggior parte di queste credenze, di queste ferite emozionali, queste vergogne, queste frustrazioni, queste limitazioni abusive, restano incoscienti per la maggior parte della gente. Studiare il proprio albero permette di fare riemergere più informazioni in superfice ed iniziare a riordinare: a che cosa veramente mi serve tutto ciò? Che cosa mi aiuta veramente a vivere, qual è il senso della mia realizzazione? Successivamente il lavoro consiste nel liberarsi da ciò che ci trattiene e ci intralcia (contratti, blocchi, vergogne, definizione di noi stessi, ecc.), e ad integrare delle informazioni positive mancanti (ad esempio: che cos'è una nascita vissuta nella felicità? che cos'è il vero amore materno e paterno?, ecc.)
Spesso si sente: - sua nonna era depressa, sua madre era depressa, lei sarà depressa a sua volta-? La storia si ripete?
La famiglia "si muove" per imitazione. Così come in certi popoli inigeni, l'appartenenza al clan avviene attraverso delle mutilazioni rituali, l'inconscio ha la tendenza a ripetere i tratti e gli eventi che indicano l'appartenenza alla tribù. Una grande parte dell'educazione avviene attraverso dei processi d'imitazione, ad esempio per un bambino che cresce in un'atmosfera depressiva sarà più difficile trovare le risorse che attivino la gioia di vivere. La famiglia è la nostra prima risorsa d'informazioni: noi parliamo (in tutti i sensi del termine) il linguaggio che lei ci insegna.
Nel caso che lei citava nella domanda, c'è un elemento aggiunto: "lei sarà depressa a sua volta" è quasi una malediazione, una predizione negativa. Ma il cervello, in particolare quello di un bambino, che è malleabile e vulnerabile, tende a realizzare le predizioni negative. E' estremamente tossico maledire in questo modo la sorta di una persona... Ciò equivale ad infilare un coltello nella schiena di una persona, versando veleno nel suo bicchiere.
Come dice la canzone: -non si sceglie la propria famiglia, non si scelgono i propri genitori- . Come fare nel caso in cui l'eredità familiare sia molto pesante da portare?
Ci sono diversi livelli di risposta a questa domanda. In un caso estremo, se la famiglia è terribilmente violenta o abusante, si può decidere: "questi geni mi hanno semplicemente misso al mondo e io non ho più niente a vedere con essi", e tagliare i legami. Significa riconoscersi come orfano. Ma una volta che si sono superati la maggior parte dei problemi con cui e che si vive in uno stato di "guarigione minima sindalce" (cioè si funziona come desiderato, su tutti i livelli, affettivo, sessuale, materiale, professionale, relazionale, intellettuale...), può essere utile fare un passo indieto e domandarsi: perché ho "scelto" quei genitori, quell'albero? Che cosa devo apprendere da tutto questo percorso, dalla mia infanzia, dalla mia eredità, da tutto ciò che mi ha condotto/a ad oppormi e a differenziarmi? La famiglia divene subito la trappola che ha colpito il nostro essere autentico ed un tesoro che può condurci, malgrado tutto, alla nostra realizzazione.
Possiamo veramente liberarci dalla famiglia e divenire esseri singolari?
Certamente! Ma tutto ciò domanda coraggio e soprattutto la volontà di crescere, cioè di guardare implacabilmente in noi dove si annida l'eterno bambino. Non parlo del "bambino interiore", come si evoca a volte per indicare la parte di noi che ama giocare, che ha conservato una certa innocenza. Io parlo di quel marmocchio che urla in aereo o in treno perché reclama un gioco e rompe i timpani a tutti i passeggeri, colui che tutti portiamo dentro e che le tradizioni spirituali chiamano "ego": la parte di noi che non è d'accordo con la realtà così com'è, che da sempre la colpa all'altro, e che aspetta frignando e facendo capricci che papà e mamma siano perfetti e che il passato sia guarito. Il passato non guarisce mai: è ciò che è stato, senza rimedio. Ma noi possiamo fare del nostro presente una realtà inedita, indipendente dalla nostra eredità. E' con questo obiettivo che il nostro libro è stato scritto.
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